Comunicato Stampa Arcigay La Rocca Cremona
Arcigay Cremona aderisce alla Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne e promuove le iniziative locali e la manifestazione nazionale indetta per sabato 24 novembre a Roma.
Gay e lesbiche italiane sanno bene cosa significhi essere discriminati, violentati ed emarginati.
Ci sentiamo per questo parte del grande movimento di liberazione che negli ultimi anni, grazie anche alle rilevanti manifestazioni delle donne e dei Pride, ha finalmente ripreso vigore.
“Appoggiamo tutte le iniziative volte ad eliminare quella cultura machista che è anche alla base della violenza omofobica” dichiara il Presidente di Arcigay Cremona Lorenzo Lupoli.
“È importante sottolineare come la violenza sulle donne non si possa ridurre ad una questione di cronaca, ma vada affrontata riconoscendo ed estirpando le sue radici patriarcali e maschiliste. Alla stessa stregua, la violenza verso gay, lesbiche e trans si nutre dell’imposizione ideologica e fuori dalla realtà di un unico modello eterosessuale e familista”, afferma Lorenza Tizzi, vicepresidente Arcigay Cremona e responsabile nazionale della Rete Donne di Arcigay. Tizzi si dice inoltre soddisfatta che nella piattaforma della manifestazione nazionale vi sia un riferimento specifico “alle violenze verso le lesbiche, perpetrate con radici e modalità simili, ma non per questo identiche, a quelle verso le donne in genere” in quanto “spesso la diffusa colpevolizzazione sociale dell’omosessualità tende a legittimare ulteriormente atti e comportamenti discriminatori e violenti verso le lesbiche”.
Arcigay sollecita da ormai troppo tempo politiche positive di inclusione e di crescita sociale e culturale che colpiscano alla radice l’odio verso la libertà e l’autodeterminazione delle donne, delle lesbiche, dei gay, dei e delle trans, così come provvedimenti legislativi che aiutino le persone a non sentirsi più sole e prendere coraggio e per uscire dalla spirale della clandestinità. Per questo con forza ribadiamo l’urgenza dell’approvazione dello stalking e dell’estensione della legge Mancino anche per i reati d’odio contro le persone LGBT.
da Il Manifesto del 24 novembre 2007 di Eleonora Martini
Il movimento glbt si interroga sul «machismo». Alla vigilia del corteo «Uomo e gay, la violenza mi riguarda»
Vittime dell’aggressività maschile ma anche portatori di misoginia. Una riflessione sui maschi omosessuali che domani alla manifestazione di Roma avrebbero voluto esserci ma non ci saranno. Intervista ad Aurelio Mancuso, segretario nazionale dell’Arcigay
«Se oggi è giusto esigere la responsabilizzazione dell’uomo come portatore di violenza, forse il movimento gay può essere visto come un canale privilegiato per riflettere sul problema. Perché noi uomini omosessuali, pur appartenendo al genere maschile e dunque non immuni, siamo comunque portatori di una pratica civile e sociale lontana da quella degli uomini eterosessuali». Il punto di vista di Aurelio Mancuso, segretario nazionale dell’Arcigay, è una buona lente di ingrandimento sul problema che, a suo dire, riguarda più il «machismo» che il «patriarcato». Sono almeno dieci anni che il movimento glbt riflette su questi temi denunciando la violenza maschile contro il corpo simbolicamente più debole dell’uomo gay o quello più “scomodo” della donna lesbica. Ma anche riconoscendo la forte misoginia del maschio omosessuale, soprattutto quando non consapevole o represso.
L’Arcigay aderisce alla manifestazione ma la sua parte maschile non scende in piazza come richiesto dalle organizzatrici del corteo di domani. Siete d’accordo?
Noi avremmo voluto partecipare ma rispettiamo le pratiche che la manifestazione si è data perché sarebbe una indebita inclusione. Capiamo anche che a volte i movimenti hanno bisogno di riaffermare le loro specificità.
Il vostro movimento è stato fortemente influenzato dal femminismo.
Sì, soprattutto il lesbismo ha sempre vissuto dentro il movimento delle donne e ha preso parte alla sua elaborazione teorica. Ma tutto l’associazionismo omosessuale ne è stato influenzato. Il nesso tra pratica e teoria, tra vissuto del corpo e critica della politica, la saldatura tra la base e i vertici del movimento: sono elementi che vengono dal femminismo. Nel resto d’Europa poi, più che in Italia, l’alleanza con le donne ha prodotto grossi risultati nella lotta per i diritti civili e le libertà. Noi la relazione più forte l’abbiamo costruita con il gruppo milanese «Usciamo dal silenzio», mentre a livello locale abbiamo condiviso con collettivi femminili tante battaglie sul terreno della difesa della laicità dello Stato.
Eppure la violenza maschile vi riguarda…
Eccome, perché le persone glbt sono sempre più spesso vittime di aggressioni e omicidi, e bersaglio di ogni tipo di odio, alimentato soprattutto negli ultimi due anni dalle destre cattoliche. Oggi la novità sta nella crescita del numero di denunce che da un lato è frutto del lavoro culturale svolto nel tempo dal movimento ma dall’altro è segno che le violenze sono aumentate. Con caratteristiche simili ma anche molto diverse da quelle contro le donne: per noi la maggioranza delle violenze non avviene in famiglia. A colpire sono soprattutto estranei: razzisti, omofobi, quasi sempre militanti di destra.
Ma non pensate vi riguardi anche come uomini, quindi in qualche modo portatori voi stessi di una cultura di violenza?
Il problema della violenza è un problema degli uomini, del loro vissuto, della sedimentazione storica e del loro portato culturale. Ma proprio per questo dobbiamo distinguere all’interno del genere maschile, perché gli uomini omosessuali hanno una relazione col corpo e con il genere molto diversa dal maschio eterosessuale. Non c’è bramosia di dominio, per esempio, sul corpo femminile. Al contrario quello stesso dominio viene patito da tutte le persone glbt. Questo però non può farci dimenticare la misoginia dei gay contro la quale il movimento deve sempre combattere e che si rende evidente per esempio nelle relazioni di potere: in Italia infatti le leader donne sono pochissime. Una misoginia che però si esprime anche come atteggiamenti verso le donne: è un pregiudizio quello che vede i gay carini e delicati con il corpo femminile. Positivo, ma sempre pregiudizio. Si pensi per esempio ai tanti gay che si sposano con una donna per rimanere invisibili, per paura dello stigma, e con le loro menzogne procurano grande dolore a mogli e compagne.
La discriminante sta nella consapevolezza…
Sì, ovvio. Quando dico che c’è una differenza tra maschio omosessuale e eterosessuale intendo parlare solo di uomini consapevoli. Chi non lo è spesso soffre di misoginia ancora più accentuata perché percepisce la donna come avversaria e non la rispetta, usa su di lei violenza fisica e psicologica.
Una riflessione questa che può essere utile anche per gli uomini eterosessuali…
Infatti. Se oggi è giusto esigere una responsabilizzazione dell’uomo come portatore di violenza, forse il movimento omosessuale può essere un canale privilegiato di questa riflessione, perché pur appartenendo al genere maschile siamo portatori di una pratica civile e sociale lontana da quella degli eterosessuali.
Come affrontate questo percorso all’interno del movimento?
In due modi: con le nostre reti antiviolenza e con un ragionamento teorico. Le persone glbt vengono percepite come avversarie della virilità: gli eterosessuali violenti ci vedono come colpevoli di quella che loro chiamano «la femminilizzazione della società». Siamo portatori di «disvalori» che secondo loro distruggono l’uomo maschio. Ecco perché, come ha ben capito Zapatero, la prima cosa da combattere è il machismo, un modello valoriale che ha ripreso forza all’interno della chiesa. Che promuove una sola famiglia, con uomo e donna, fondata non tanto sul patriarcato quanto sul machismo. Machismo e virilità non sono dati biologici o naturali ma sono disvalori provenienti dalla sedimentazione storica del dominio maschilista dell’uomo sulla donna. Noi siamo per distruggere questa idea della virilità. E anche l’idea che l’omosessuale si presenta come effeminato e gentile è un pregiudizio. La virilità è un dato culturale, la mascolinità è un dato biologico e su questo si fa sempre molta confusione.
Anche l’uomo non virile può non essere immune dalla violenza contro le donne?
Non lo è assolutamente: gli omosessuali sono vittime e complici di questa società, perché non stanno sulla luna. Chi non ha compiuto nessuna elaborazione culturale, nessun percorso di emersione, nessun tentativo di diventare un soggetto pensante autonomo, è facile che aderisca al modello imperante. Per questo la lotta all’omofobia deve essere legata alla emersione, alla visibilità degli omosessuali. E in questo noi abbiamo fatto passi da gigante diventando negli ultimi dieci anni una forza visibile e radicata sul territorio.
E questa emersione ha prodotto risultati anche nella lotta alla misoginia?
C’è il paradosso che più diventiamo forti e più aumenta la violenza delle destre e dei balordi, la reazione negativa di chi preme per la repressione della sessualità e delle libertà. Ma a parte questo, sono molti coloro che hanno preso coraggio e rispettando più se stessi hanno mutato la relazione con le loro donne: c’è più rispetto e meno disponibilità a concedere alla donna un ruolo di copertura alla loro omosessualità. Questa evoluzione si vede soprattutto tra i giovani e giovanissimi.
Esiste la violenza di uomini gay su uomini gay?
Quella fisica e psicologica sì, ma non la violenza sessuale. Quella non è concepibile perché non c’è il dominio della virilizzazione, l’uso dello stupro come sfregio della persona. Questo è un problema eterosessuale, di chi vede nel corpo gay quello simbolicamente più debole, da possedere e distruggere. Diversa invece la violenza del maschio eterosessuale sulle lesbiche perché in questo caso agisce anche la volontà di riaffermare “territorialmente” la propria sessualità. Il maschio dominante non accetta il rifiuto e, peggio ancora, la competizione. Purtroppo quasi sempre le lesbiche raccontano di aver subito un doppio stupro da uomini che rivendicano la violenza sessuale perché è «giusto» punirle per il loro modo di amare.